Confronto tra i principali modelli psicopatologici con il modello Transpersonale alla luce del nuovo paradigma olistico

Il paradigma transpersonale, diversamente da quello scientifico di tipo newtoniano-cartesiano che ancora domina la psicologia e la medicina del nostro tempo, è fondato sul presupposto della coscienza come campo unificato; un flusso incessante e illimitato.
In epoca positivista si affermò l’idea di una misurazione quantitativo-causalista della mente umana e dei disturbi psichici, ritenuti equivalenti alle malattie organiche. Nella psichiatria classica la coscienza continua a rappresentare un epifenomeno del cervello. Il dualismo mente/corpo, di reminiscenza cartesiana, ha pesato notevolmente anche sulla medicina accademica che continua a scindere corpo e mente, trattando l’organismo come un sistema idraulico in cui funzioni ed organi risultano collegati come le strutture meccaniche di un motore.
Mentre nel paradigma olistico vengono oltrepassate le barriere tra soggetto e oggetto, tra mente e materia e lo stesso cervello si rivela come un congegno strepitoso, connesso ad un passato evolutivamente millenario capace di proiettarsi verso conoscenze ed intuizioni assolutamente inusuali.
La visione unitaria di un mondo dinamico ed interconnesso, così come l’esperienza interiore di ordine spirituale, costituiscono le fondamenta sulle quali la psicologia transpersonale ha costruito la sua identità. E se aggiungiamo che, nell’ambito di questa visione, la vita umana risulta sempre più collegata all’ecologia della natura e dei sistemi viventi, riscoprendo nuove connessioni con la mente estatica dello sciamano, risulta evidente come le vecchie concezioni della psicopatologia ufficiale sono destinate a crollare , facendo spazio ad una concezione più ampia della natura umana.
L’idea originaria della psicopatologia nasce in sede neurologica e psichiatrica alla fine dell’ottocento nel tentativo di indagare lo sviluppo psichico nei suoi aspetti abnormi, facendo risalire turbe psichiche e sofferenze piuttosto che a cause organiche e a malformazioni costituzionali, ad un funzionamento anormale della stessa attività psichica.
Tale tentativo segna il definitivo allontanamento della psicopatologia dalla psichiatria neurologica e dalla medicina stessa, assegnando a S. Freud e successivamente a C.G. Jung il merito di tale separazione, che portò la psicologia dinamica a distinguersi dalla psichiatria ancorata nella classificazione sistemica dei sintomi in quadri nosografici.
Spetta dunque a Freud il merito di aver trovato una via d’uscita dalle teorie organicistiche di tipo positivistico, conferendo autonomia ai processi psichici senza rinunciare alla sfera fisiologica.
In questo periodo si veniva affermando, ad opera di grandi maestri come Charcot e Breuer, l’idea che alcune patologie tipo l’isteria non fossero riconducibili a traumi di tipo organico bensì ad avvenimenti penosi rimossi: era quindi possibile pensare, per la prima volta, ad una cura di quei sintomi senza ricorrere a farmaci.
Freud, dal canto suo, mise a punto il cosiddetto “metodo catartico” che consisteva nel richiamare alla memoria avvenimenti penosi dimenticati, permettendone la scarica emotiva capace di liberare il paziente dal suo disturbo.
Freud intuì che i fenomeni psichici patologici hanno un significato alla luce di un conflitto psichico inconscio: la presenza di un dinamismo psichico inconscio procura sofferenza psichica.
Egli inoltre valorizzò un altro elemento nuovo e significativo: il sintomo, stabilendo l’equivalenza tra sintomo, inconscio e vita pulsionale. Attraverso il sintomo si può risalire ai contenuti repressi nell’inconscio, che diviene da questo momento il grande protagonista della psicopatologia.
Tutto ciò dimostra come la vita psichica sia completamente modellata da istanze pulsionali nascoste al di sotto dell’io, nell’es, che costituisce la parte oscura della nostra personalità, la parte che attingendo dalle pulsioni si riempie di energia senza che vi sia organizzazione. Essere dominati dall’es significa non poter frapporre fra lo stimolo pulsionale e la scarica immediata nessun differimento. Il compito fondamentale della psicoanalisi è di rafforzare l’io rendendolo capace di mediare tra le pulsioni dell’es e le contro spinte decisionali del super-io.
Ad ogni modo, uno dei maggiori contributi del modello psicoanalitico alla psicopatologia è stato quello di aver sviluppato per la prima volta una conoscenza sistemica del disagio psichico lontana dalle categorie psichiatriche che ancora oggi tendono a valutare ogni patologia mentale in termini nosografici e di giudizio. Infatti Freud dietro ogni sintomo scorge un territorio vasto di processi di pensiero, emozioni e fattori fisiologici che occorre indagare sotto il profilo economico, dinamico e genetico-strutturale.
Anche la concezione transpersonale impone di uscire da questa ristretta visione nosografia della patologia mentale, curandosi dell’intrinseca creatività dell’universo che nella persona umana si manifesta come forza spirituale ed energia di autoguarigione.
Per il padre della psicoanalisi la vera chiave di accesso alla sofferenza psicologica andava rintracciata all’interno del messaggio di cui era portatore il sintomo, il quale non è mai un evento isolato, ma fa parte di una costellazione di forze e di attività fisiologiche e psichiche. Inoltre il simbolismo del sintomo conduce sempre ad una formazione sostitutiva di un conflitto, di un istinto impellente o di un desiderio; può esserci un camuffamento attraverso il quale il sintomo stabilisce una relazione significativa con il desiderio rimosso.
I sintomi nevrotici e psicotici per la prima volta non sono riferibili a patologie organiche, ma divengono la conseguenza di un conflitto psichico inconscio in cui istanze di compromesso della personalità contrappongono una realtà troppo opprimente, al desiderio sessuale e alle forze primitive dell’inconscio.
Inoltre è opportuno rilevare l’immenso contributo di questo autore nell’aver individuato nel conflitto nevrotico quel malessere profondo latente in ogni individuo, le cui radici non sono riconducibili unicamente a fattori individuali ma si estendono anche ai conflitti sociali.
La nevrosi è poi divenuta da Jung in poi, più che una malattia ben definita, una sofferenza dell’anima; una dinamica positiva, una spinta evolutiva di riscatto da una vita priva di significato. In tale prospettiva a livello fenomenologico ritroviamo nel disturbo nevrotico una costellazione di vissuti, tendenze e conflitti esistenziali che esulano dalla visione più angusta di tipo conflittuale-istintuale prospettata da Freud.
Per Carl Gustav Jung la mitologia fu una fonte inesauribile d’informazioni, che assieme ad altre discipline come l’antropologia, la filosofia orientale e la fisica gli consentirono di affrontare un panorama sconfinato rispetto alle limitazioni della scienza psicologica del suo tempo.
Nel suo lavoro Jung pone attenzione alla trasformazione della coscienza, prefigurata nel processo di individuazione, che è poi anche il cammino inesorabile dell’essere umano verso il Sé come totalità e autorealizzazione. Jung avverte come nella sterminata ampiezza dell’unità psichica rientrino le forze spirituali più elevate e creative accanto alle situazioni più abnormi e turbinose, individuando per la prima volta forme di disagio dell’esistenza che prefigurano quegli stati di coscienza posti al centro dl processo transpersonale.
Egli conobbe il mondo dell’inconscio sia attraverso il contatto con il materiale inconscio che emergeva dai racconti e dai deliri dei pazienti più gravi, sia attraverso la propria sofferenza psichica traducendo il tutto sul piano teorico nella distinzione tra Inconscio Personale e Inconscio Collettivo. Egli giunse ad ipotizzare l’esistenza di un inconscio archetipico constatando come all’interno di culture diverse ricorressero tematiche analoghe. Tale inconscio sarebbe l’artefice della fondamentale interconnessione di ogni psiche individuale e sarebbe popolato da archetipi i quali costituiscono la base stessa di ogni esperienza transpersonale.
Il concetto di inconscio collettivo e quello di archetipo sono con il processo di individuazione un assunto fondamentale della teoria junghiana.secondo l’autore noi facciamo indirettamente esperienza degli archetipi attraverso i sogni, i simboli, le favole, i rituali, mentre le esperienze mistiche ci consentono l’accesso diretto al mondo archetipico. Egli arrivò ad indicare nell’esperienza spirituale la via maestra per l’uscita dalle nevrosi.
Jung presenta l’archetipo come una realtà tra lo psichico e il somatico; come dei campi magnetici tra i quali la psiche si muove, delle manifestazioni psichiche che rivelano l’essenza dell’anima.
L’inconscio collettivo si troverebbe ad avere una funzione adattiva della psiche umana in quanto di fronte a eventi come la nascita, la morte, l’amore, ogni gruppo etnico risponde con comportamenti simili.
Il livello della vita psichica chiamato da Jung inconscio personale contiene tutto ciò che riguarda la vita del singolo: è il luogo del rimosso di Freud e la sede dei complessi di Jung
Il complesso viene a costituire una personalità autonoma, un frammento scisso ed organizzato della psiche che si comporta come un sé ed è costituito da un insieme di immagini e idee raggruppate intorno ad un nucleo con una comune tonalità affettiva. I rapporti interpersonali e la vita di tutti i giorni hanno la capacità di attivare un complesso che riesce ad imporsi regolando i comportamenti. Scopo primario della terapia junghiana diventa quindi l’integrazione nella psiche cosciente delle varie personalità autonome.
Un altro concetto chiave della psicologia analitica è quello di Persona che coincide con quella funzione di relazione con il mondo collettivo esterno per la quale assumiamo ruoli sociali. Egli definisce persona un segmento dell’inconscio collettivo che è solo una maschera della psiche collettiva e permette la mediazione tra il singolo ed il mondo esterno. Quando esiste una eccessiva identificazione con la persona o un suo inadeguato sviluppo, il processo di riunificazione degli opposti necessario per la realizzazione del sé viene ostacolato.
L’ombra è il fratello oscuro, la polarità bassa, nascosta dell’archetipo ed in quanto polarità oscura del dualismo proprio di ogni fenomeno della vita essa è presente in ogni archetipo. L’ombra una volta che è stata elaborata, realizzando così la riconciliazione tra polarità complementari, diviene portatrice del valore individuale che la coscienza individuale e quella collettiva hanno estromesso. Ad avvicinare l’io all’ombra è un sintomo, una sofferenza che possono essere letti come il primo tentativo di cambiamento, di trasformazione della coscienza. L’ombra compare nei miti, nei sogni, nell’archetipo dell’antagonista, come animali repellenti, come creature dell’oscurità della notte e della terra. Lo stato naturale dell’ombra è quello di essere rimossa dalla coscienza e proiettata in modo difensivo verso soggetti e situazioni che ne forniscono l’aggancio.
L’individuazione è il contenitore teorico che racchiude, organizza e dirige le diverse parti del sistema junghiano. L’individuazione è un lavoro psicologico di recupero e di sviluppo della propria matrice individuale, che non ha altro scopo se non quello di liberare il Sé.
Per Jung il sé è un archetipo che esiste a priori ed esprime un significato collettivo che trascende gli stretti confini biografici della personalità: è il recipiente della grazia divina! Più concretamente l’autore indica con il termine sé la totalità dell’essere umano che tutto abbraccia, passato, presente e futuro; la totalità cui ogni sistema psichico fa riferimento. Un io che viene quindi concepito come quella parte del sé con la quale il soggetto si identifica e che può cogliere il sé, auto-trascendendosi, disidentificandosi dai sui contenuti consci. Il sé in Jung ha pertanto una natura transpersonale, in quanto attinge a dimensioni soggettive che trascendono le limitazioni spazio-temporali della personalità, partecipando ad una realtà universale.
La strada dell’individuazione è una scelta sacrificale in cui si rinuncia al protagonismo assoluto dell’io per l’individuazione.
L’opera psicologica reichiana non può non essere compresa al di fuori della sua strettissima relazione con l’analisi storico-culturale, che individua in una morale coercitiva il blocco della naturalezza dell’energia vitale. La sua opera acquisisce grande rilievo a partire da una visone dell’universo in cui confluiscono l’estasi e l’abbandono alle potenze infinite della natura e la liberazione degli istinti rimossi dell’io. Egli studiò dal vivo i complessi rapporti evolutivi che legano l’individuo alla natura, al mondo viscerale della emozioni profonde e all’universo dell’energia vitale. Secondo Reich, la salute psichica dipende dalla potenza orgastica, vale a dire dalla capacità di lasciarsi andare al culmine dell’eccitazione sessuale. La naturalezza nell’atto sessuale indicherebbe una personalità sana, capace di amare. La libera e disinibita espressione di un emozione e la naturale eccitazione e soddisfazione di u orgasmo furono identificate da Reich come espressione di un movimento energetico non impedito nel corpo. Un blocco energetico si instaura invece, con la partecipazione dell’intero sistema nervoso e muscolare al processo di soppressione, o trattenimento delle emozioni, quando l’individuo sperimenta un forte dolore o un trauma, o nella sua infanzia le emozioni sono state soppresse o trattenute. Questo trattenere è anche accompagnato da un ansioso rifiuto di qualunque cosa piacevole e questa negazione della vita si manifesta sul piano fisiologico con spasmi muscolari cronici che si organizzano in un’armatura caratteriale. Quest’ultima è espressione di un rapporto infinitamente più vasto uomo-cosmo dove, in senso transpersonale, sia il desiderio sessuale che la brama d’amore e di contatto fisico divengono espressioni comuni di quel desiderio vivo di ogni essere vivente all’unità profonda e alla fusione.
Nella sua analisi del carattere Reich sottolinea l’importanza cruciale delle resistenze caratteriali nell’economia psichica collettiva della persona nevrotica. Il problema principale di un trattamento psicoterapeutico diviene la eliminazione delle resistenze caratteriali; rimuovendo le difese dell’io il paziente si rende disponibile alle interpretazioni del suo materiale, non solo sotto il profilo intellettuale, ma soprattutto affettivo. Reich inoltre era convinto che la resistenza caratteriale si accompagnasse a precise modalità posturali, nel senso che la rigidità muscolare traduce fedelmente la rigidità difensiva del carattere: la corazza muscolare è equivalente alla corazza caratteriale. Le stereotipie fisiche possono essere analizzate come il sintomo, perché sono espressione di un compromesso tra l’espressione della pulsione e la sua inibizione. In ogni irrigidimento muscolare è presente la storia ed il significato della sua origine. Lo scioglimento della contrattura muscolare libera energia vegetativa a fa affiorare alla memoria il ricordo dell’evento che determinò la rimozione. Ecco perché la vegetoterapia che interviene direttamente sul corpo è una via più breve ma altrettanto efficace, poiché aggira la costellazione psichica dell’affetto e lo libera prima che affiori il ricordo. Se è vero che il fine immediato di questo lavoro corporeo è quello di sbloccare le resistenze, dissolvendo la corazza e aprendo una breccia nell’armatura caratteriale per accedere alla ferita nevrotica, un processo creativo e di trasformazione deve essere orientato al fine di consentire al cliente una sensazione crescente di espansione e flusso lungo tutte le strutture del corpo, fino a raggiungere una corrente energetica totale.
Un altro contributo geniale di Reich è riferito alla sua geniale anatomia sottile del corpo fisico, scandita in sette zone disposte simmetricamente rispetto alla spina dorsale e collegate con determinati plessi fisiologici: bacino, regione pelvica, addome, diaframma, torace, collo, bocca e gola, occhi e muscolature endoculari. Inoltre le suddette regioni anatomiche non sono mai state concepite in senso puramento biologico, richiamando quasi alla perfezione l’architettura orientale dei chakra. La molteplicità delle connessioni segnalate dall’autore con le funzioni psicologiche e gli atteggiamenti di vita più arcaici lasciano intravedere come queste regioni siano, sul piano corporeo, proiezioni di forze ed energie ben più antiche e ancestrali dell’uomo.
Reich accosta la dimensione corporea agli aspetti più sottili dell’esistenza, per cui diventa impossibile scindere mente e corpo: ogni disfunzione organica creerà necessariamente on le sue tensioni qualche breccia inevitabile nella sfera psichica.
La vegetoterapia reichiana diviene una chiave di volta di tutto il trattamento psicoterapeutico, che nella psicologia transpersonale non si arresta ai soli atteggiamenti corporei e caratteriali, ma interagisce anche con gli apparati muscolari e psichici profondi, trovando in essi la via d’accesso al territorio cosmico.
Nella visione energetica di Reich il concetto di Sé viene a coincidere con quello di organismo, una totalità in grado di autoregolarsi e sviluppare le proprie potenzialità se vengono create le condizioni giuste.
Con Maslow si ha il superamento della visione meccanicistica tipica dell’uomo, tipica della psicoanalisi e del comportamentismo, per accedere ad una concezione olistico-dinamica del sé inteso nel suo divenire come portatore di bisogni e desideri, la cui ultima meta resta l’autorealizzazione: divenire tutto ciò che si è capaci di divenire.
Abraham Maslow fu il fondatore della psicologia umanistica e attaccò la psicologia dominante per aver fondato la sua conoscenza dell’uomo sul dolore, sulla fragilità, sulla patologia, sugli aspetti malati e deteriorati della natura umana e non sulle possibilità insite nell’essere umano come la potenziale ricerca del benessere e dell’autorealizzazione. Gli psicologi umanisti mettono in guardia dagli eventuali rischi di una visione del dolore capace di generare una pericolosa inclinazione ad essa nell’uomo.
Gli aspetti innovativi della psicologia umanistica consistono nell’aver delineato un’immagine positiva dell’uomo e nell’aver fondato la conoscenza della personalità sul valore della soggettività invece che sull’oggettività come esige il modello positivista.
Il fondatore della psicologia umanistica gettò anche le basi per la nascita di una psicologia transpersonale centrata sul cosmo più che sui bisogni ed interessi umani, verso una trascendenza del Sé.
Maslow propone una teoria motivazionale che distingue i bisogni dai metabisogni, individuando i primi come stati di deprivazione, che seguono la legge omeostatica dell’organismo. I metabisogni sono spinte verso la crescita e la evoluzione. La visione di Maslow sostiene la concezione transpersonale di un inconscio non solo sede di forze istintuali, ma anche e soprattutto luogo delle potenze del Buono. I bisogni fondamentali, infatti, non vanno visti unicamente come legati al possesso di oggetti e persone, ma, una volta soddisfatte le necessità più propriamente biologiche, ad istanze quali: la protezione, la sicurezza, l’appartenenza, l’affermazione, l’amore, la stima, la dignità, il rispetto di Sé, lo sviluppo delle proprie capacità, la realizzazione del Sé.
Egli definisce una gerarchia di bisogni che emergono progressivamente nel corso dell’esistenza. La gratificazione del bisogno produce piacere, felicità, salute mentre l’insoddisfazione produce uno stato di mancanza che genere ansia, paura, sfiducia, aggressività.
I più recenti progressi nel campo della psicologia, sono da ritenersi una parte sostanziale delle conquiste più recenti della fisica moderna: una rivoluzione prodigiosa che ha travolto, con le nuove ricerche quantistiche, i vecchi schemi che descrivevano l’universo in termini di energie statiche e cristallizzate nel tempo e nello spazio. Entrando nel mondo delle particelle subatomiche, la materia si dimostra una forma di energia che non è ripartita in mattoni definiti ed isolati, piuttosto si tratta di un immenso sistema di connessioni a rete e probabilità. Tutte le particelle quando si cerca di osservarle si modificano, si tramutano oppure scompaiono nell’energia e da questa ricompaiono sotto diversa forma. Si può ipotizzare che in fondo la coscienza costituisca la vera fonte di risorsa di tutti i fenomeni mentali e materiali. Un universo fatto non di cose ma di avvenimenti, di percorsi di probabilità, di eventi sinergici che comprendono sempre anche l’osservatore che osserva. Questa visione così suggestiva lascia poco spazio al ferreo casualismo che domina la mente duale, abituata a separare per conoscere, a fermare e classificare.
Può risultare evidente come le vecchie concezioni della psicopatologia sono destinate a crollare insieme alle loro categorie schematiche e nosografiche della patologia classica, per fare spazio ad una concezione unitaria e più vasta della personalità che si apre alle potenzialità della coscienza.
Gli esponenti della visione olistica, infatti, sostengono che esistono stati superiori della coscienza, stati transpersonali, dove la “verità” può essere conosciuta direttamente attraverso l’esperienza interiore. Lo psicologo transpersonale è consapevole che la visione che abbiamo sulla natura della realtà può alterare la realtà, per questo non vuole spiegare ma si limita descrivere l’esperienza. Lo psicologo transpersonale sa che le diagnosi sono come gabbie e le parole come bombe dalle quali difficilmente ci si salva. Egli infatti si astiene da giudizi definitivi, ampia la sua coscienza, i suoi modelli di riferimento e i suoi metodi d’indagine,estendendoli alle varie discipline spirituali e alle varie tradizioni mistiche. In questo modo avrà accesso all’inconscio collettivo, luogo delle regioni celesti o infernali, dove risiedono le divinità ancestrali, le esperienze di disintegrazione della personalità e di annientamento e scorgervi il potenziale creativo che conduce all’individuazione del Sé. Ad esempio una depressione, mentre per la psicoanalisi potrà significare una fissazione alla fase orale dello sviluppo della personalità, per lo psicoterapeuta transpersonale starà a significare una separazione dalla dimensione sacra dell’esistenza.
La visione olistica fornisce un paradigma scientifico che sappia occuparsi di quelle dimensioni dell’umano che trascendono i confini delle mente razionale quali: immaginazione, creatività, autoguarigine, saggezza, amore, umiltà, compassione, intuizione, consapevolezza.

Dott. Benedetto Micheli
tonton.benedetto@libero.it

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